Storia dell'orologeria - Terza puntata

Nel nostro viaggio nella storia dell'orologeria, siamo giunti in una fase in cui una ristretta area montuosa della Svizzera francese, il Jura, si è trovata ad ospitare decine e decine di piccoli laboratori, casa di artigiani che con paziente sapienza si sono impegnati senza sosta per migliorare la tecnica orologiera. Questa culla naturale ha favorito la nascita e lo sviluppo di una vera e propria filiera, ovvero di piccole botteghe artigiane specializzate ognuna nelle diverse parti che compongono un orologio, dai quadranti alle lancette, dai bracciali alle casse, dalle molle alle componenti più svariate dei movimenti. La progressione della tecnica e della tecnologia non fece altro che favorire la distribuzione di queste conoscenze su tutto il territorio.

 

Tutti i brand più famosi al mondo sono passati, prima o poi nella loro storia, tramite questi passaggi di piccole manifatture artigianali, dislocate in pochi paesini ora diventati celebri come Neuchatel, La Chaux de Fond, Saint-Imier o Villeret, e spesso ampliate poi nel centro più vicino, Ginevra.

La neutralità della Svizzera in entrambe le guerre mondiali fu di grande aiuto per tutta la regione, ovviamente, ma anche le case produttrici di orologi ne trassero vantaggio, siglando alcuni grossi contratti di fornitura per le forze armate di svariati Stati, impegnati nella corsa agli armamenti ed in cerca di segnatempo robusti ed affidabili.

 

Nel dopoguerra, pertanto, il prestigio dell'orologeria Svizzera non aveva eguali nel mondo, e diversi brand cominciarono a sfruttare campagne pubblicitarie molto forti per espandere la propria fama a livello globale, finché intorno agli anni '60 qualcosa non cambiò radicalmente il settore: l'avvento dei movimenti al quarzo.

Sviluppata intorno agli anni '30, la tecnologia di segnare il tempo grazie ad un cristallo di quarzo e ad una pila trovò le prime applicazioni negli orologi da polso proprio dal 1960 circa, sconvolgendo il mercato. Gli orologi al quarzo, infatti, non solo erano estremamente più economici, ma erano anche enormemente più precisi di qualunque orologio meccanico, a prescindere dalla qualità del suo movimento. Appena la tecnologia venne commercializzata, i brand Svizzeri quasi non la considerarono, perché ritenuta quasi “offensiva” rispetto alla sapienza artigianale che veniva impiegata per gli orologi meccanici, ma molti altri non furono dello stesso avviso, primi fra tutti alcuni brand giapponesi. In breve tempo, il mercato venne invaso da orologi di buona qualità, molto più economici di quelli “classici”, e molto più precisi. Fu il caos.

 

Moltissime piccole manifatture svizzere, non in grado di gestire una simile concorrenza, fallirono in breve tempo, e vennero seguite da diverse aziende che facevano parte della lunga filiera dei componenti. Le contromosse strategiche e di marketing adottate fino ad allora non attecchirono abbastanza in fretta, e in breve tempo, intorno alla metà degli anni '70, l'intera industria Svizzera degli orologi entrò in una crisi senza precedenti.

Nei primi anni '80 un ingegnere svizzero, di origini libanesi, ebbe due brillanti idee per salvare il settore: unì sotto un'unica società diverse aziende produttrici di componenti e movimenti, in modo da poter sfruttare economie di scala ed obiettivi comuni e concepì un prodotto semplice ma efficacissimo, in grado veramente di cambiare i giochi. Era nato il primo Swatch, e quell'uomo si chiamava Nick Hayek.

 

Con Swatch, si sovvertiva completamente il concetto di orologio per come era stato concepito fino ad allora: non più un segnatempo dai toni classici o comunque estremamente funzionali, che fosse un segno distintivo e di prestigio, ma un accessorio di moda, dal prezzo estremamente accessibile, dai colori sgargianti e dal design innovativo, che potesse essere abbinato a seconda dell'occasione o addirittura dell'abbigliamento del momento. Swatch fu un successo planetario, che diede ossigeno non solo alla società di Hayek, ma anche a tutto il settore. Con questo pezzo l'orologeria Svizzera dimostrava, infatti, di poter andare oltre agli economici quarzi giapponesi: con Swatch (e le diverse marche fashion che ne seguirono efficacemente l'esempio) anche la Svizzera poteva creare orologi di qualità a basso prezzo, e contemporaneamente mantenere il prestigio di indossare un Patek Philippe, un Rolex, un Omega.

 

Questa netta distinzione fra prodotto di lusso e prodotto di moda, unita ad una strategia produttiva più efficiente all'interno della filiera, consentì ai brand di superare il momento di crisi, e di lanciarsi verso una nuova fase.


Quella di cui parleremo nel prossimo episodio!